Le
donne angelicate o demoniache di Caviezel (…): figure così
incisive e persistenti che penetrano come chiodi nel cuore
dell’artista/degli artisti e non
possono
essere più rimossi, pena la lacerazione. (…)
Non
si possono rimuovere figure potenti e prepotenti, adorate,
perdute,
nemmeno fossero «un’ombra, una salma, un cuore fatto
di
nuvole», perché di carne è fatto l'attore che guida il corteo.
Rosaria
Sardo
FOTOGRAFIA
LOMOGRAFICA DELLA FEMMINILITA’ DOMESTICA
La
raccolta di lomografie di Giovanni e Maria Caviezel presenta interessanti
proposte di “cooperazione comunicativa” sulla tematica della
femminilità. Dopo aver esplorato più sentieri fotografici nel
passato, i Caviezel ci offrono adesso interessanti spunti di riflessione
sulla realtà femminile odierna attraverso una serie di lomografie
che di questa realtà colgono dettagli inconsueti: gestualità in
semimovimento, parti di un corpo coperto e riscoperto, pieni e vuoti,
riflessi e opacità. Un Leitmotiv delle lomografie sembra essere il
pattern geometrico del cerchio, con la variante dell’ovale e con le
concretizzazioni di sfera e uovo, simboli principi di una femminilità
giocata sul campo semantico della fecondità, della generazione e
della rigenerazione e su quello traslato della protezione e della
rassicurazione. Nelle lomografie dei Caviezel la femminilità appare
spesso con una valenza domestica o forse “addomesticata”,
ritratta con segni precisi che rimandano a tale nucleo semantico (uno
per tutti il grembiule).
Rosaria
Sardo
DADAISMO
E APPROSSIMAZIONE “IRREALISTA” NELLA FOTOGRAFIA LOMOGRAFICA DI
CAVIEZEL
di
Antonio Ferrero
(…)
L’abilità – meglio: la sensibilità – di Caviezel è proprio
nel capire come far virare le imperfezioni di un’ottica
approssimativa verso una poetica del non-detto. Arrivando, attraverso
alla proposizione di situazioni di mera quotidianità, a svelare una
delle tante antinomie, non solo estetiche, della nostra confusa
epoca. Il principio attraverso cui oggi si muovono i fotografi –
siano professionisti o dilettanti – è quello di ottenere il
massimo della verosimiglianza da parte dell’obbiettivo per poi
manifestare la propria perizia attraverso le inquadrature, le luci,
la stampa se non addirittura i ritocchi. C’è un’ansia di verismo
da fare invidia a Zeusi e Parrasio, una ricerca della assoluta
fedeltà tecnica su cui successivamente innestare l’abilità di
artista. In questo campo, fotograficamente raffaellita, Caviezel è
concettualmente un dadaista, un sovvertitore della realtà. Perché
cercare la perfezione riproduttiva per poi modificarne gli effetti?
Perché non agire direttamente
sull’impressione che la realtà può fare sulla pellicola?
L’intuizione, apparentemente banale, è filosoficamente e
gestalticamente di assoluta rilevanza: non esiste la visione
oggettiva,
non esiste la verità: fotografate qualsiasi cosa con una LOMO e
vedrete che l’immagine non sarà una rappresentazione della realtà,
bensì un’interpretazione
della realtà.
Antonio
Ferrero
GIOVANNI
CAVIEZEL: UN CASO GRAVE DI PERSONALITA’ ARTISTICA MULTIPLA
Parlare
“criticamente” dell’opera di Giovanni Caviezel è uno di quei
deliziosi paradossi che ogni tanto la vita, e più modestamente la
passione per le forme d’arte visiva, ci sottopongono. Di solito,
infatti, l’analisi di qualche creazione artistica è semplificata
dal fatto che l’autore, il più delle volte, è del tutto ignaro di
questioni critiche e ancor più digiuno di estetica, per cui
difficilmente si orienta in un’analisi dei lavori che presupponga
una qualche competenza teorica che vada oltre le basi di un solido
liceo artistico. Detto in altri termini, l’artista medio che
ricerchi una recensione, riesce a stento a capire se è positiva o
negativa, e in fin dei conti questo è quanto gli interessa. Delle
motivazioni, che possono affondare le ragioni in sofisticate
comparazioni storico-filosofiche, poco gli cale. Il che, per noi
prosivendoli prestati all’ermeneutica pittorica, è piuttosto
agevolante, dal momento che si possono fornire pareri anche in
assenza di analisi diretta dell’opera. Prassi poco elegante e
financo di assai dubbia deontologia, ma decisamente più praticata di
quanto si creda, soprattutto se il giudizio finale è positivo e
quindi all’artista poco importa delle modalità stesse di
elaborazione della valutazione.
Con
Caviezel, accidenti a lui, tutto ciò non è possibile. Infatti si
tratta di un artista dalle competenze vagamente enciclopediche,
capace di fondere i campi del suo impressionante scibile tanto nella
dimensione teorica (è docente e storico di fotografia e storia del
cinema) quanto pratica (è fotografo e autore radiotelevisivo). Oltre
che, tanto per non farsi mancare niente, musicista, illustratore e
pittore. Dove trovi il tempo per fare tutto e a tali livelli tecnici
è un problema suo, anzi, ho sospettato a lungo che “Giovanni
Caviezel” fosse un accattivante nome collettivo che comprendesse
diversi gruppi di persone sparsi per l’Italia, tipo Luther Blisset.
E, a esser sincero, nemmeno averlo conosciuto di persona ha fugato
definitivamente i miei dubbi. Ma questo, invece, è un problema mio e
tutt’al più del mio analista.
Antonio
Ferrero
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