lunedì 26 marzo 2012

ANGELI E DEMONESSE


ANGELI E “DEMONESSE”
Le donne angelicate o demoniache di Caviezel (…): figure così incisive e persistenti che penetrano come chiodi nel cuore dell’artista/degli artisti e non
possono essere più rimossi, pena la lacerazione. (…)
Non si possono rimuovere figure potenti e prepotenti, adorate,
perdute, nemmeno fossero «un’ombra, una salma, un cuore fatto
di nuvole», perché di carne è fatto l'attore che guida il corteo.
Rosaria Sardo


FOTOGRAFIA LOMOGRAFICA DELLA FEMMINILITA’ DOMESTICA


La raccolta di lomografie di Giovanni e Maria Caviezel presenta interessanti proposte di “cooperazione comunicativa” sulla tematica della femminilità. Dopo aver esplorato più sentieri fotografici nel passato, i Caviezel ci offrono adesso interessanti spunti di riflessione sulla realtà femminile odierna attraverso una serie di lomografie che di questa realtà colgono dettagli inconsueti: gestualità in semimovimento, parti di un corpo coperto e riscoperto, pieni e vuoti, riflessi e opacità. Un Leitmotiv delle lomografie sembra essere il pattern geometrico del cerchio, con la variante dell’ovale e con le concretizzazioni di sfera e uovo, simboli principi di una femminilità giocata sul campo semantico della fecondità, della generazione e della rigenerazione e su quello traslato della protezione e della rassicurazione. Nelle lomografie dei Caviezel la femminilità appare spesso con una valenza domestica o forse “addomesticata”, ritratta con segni precisi che rimandano a tale nucleo semantico (uno per tutti il grembiule).
Rosaria Sardo


DADAISMO E APPROSSIMAZIONE “IRREALISTA” NELLA FOTOGRAFIA LOMOGRAFICA DI CAVIEZEL
di Antonio Ferrero
(…) L’abilità – meglio: la sensibilità – di Caviezel è proprio nel capire come far virare le imperfezioni di un’ottica approssimativa verso una poetica del non-detto. Arrivando, attraverso alla proposizione di situazioni di mera quotidianità, a svelare una delle tante antinomie, non solo estetiche, della nostra confusa epoca. Il principio attraverso cui oggi si muovono i fotografi – siano professionisti o dilettanti – è quello di ottenere il massimo della verosimiglianza da parte dell’obbiettivo per poi manifestare la propria perizia attraverso le inquadrature, le luci, la stampa se non addirittura i ritocchi. C’è un’ansia di verismo da fare invidia a Zeusi e Parrasio, una ricerca della assoluta fedeltà tecnica su cui successivamente innestare l’abilità di artista. In questo campo, fotograficamente raffaellita, Caviezel è concettualmente un dadaista, un sovvertitore della realtà. Perché cercare la perfezione riproduttiva per poi modificarne gli effetti? Perché non agire direttamente sull’impressione che la realtà può fare sulla pellicola? L’intuizione, apparentemente banale, è filosoficamente e gestalticamente di assoluta rilevanza: non esiste la visione oggettiva, non esiste la verità: fotografate qualsiasi cosa con una LOMO e vedrete che l’immagine non sarà una rappresentazione della realtà, bensì un’interpretazione della realtà.
Antonio Ferrero

GIOVANNI CAVIEZEL: UN CASO GRAVE DI PERSONALITA’ ARTISTICA MULTIPLA
Parlare “criticamente” dell’opera di Giovanni Caviezel è uno di quei deliziosi paradossi che ogni tanto la vita, e più modestamente la passione per le forme d’arte visiva, ci sottopongono. Di solito, infatti, l’analisi di qualche creazione artistica è semplificata dal fatto che l’autore, il più delle volte, è del tutto ignaro di questioni critiche e ancor più digiuno di estetica, per cui difficilmente si orienta in un’analisi dei lavori che presupponga una qualche competenza teorica che vada oltre le basi di un solido liceo artistico. Detto in altri termini, l’artista medio che ricerchi una recensione, riesce a stento a capire se è positiva o negativa, e in fin dei conti questo è quanto gli interessa. Delle motivazioni, che possono affondare le ragioni in sofisticate comparazioni storico-filosofiche, poco gli cale. Il che, per noi prosivendoli prestati all’ermeneutica pittorica, è piuttosto agevolante, dal momento che si possono fornire pareri anche in assenza di analisi diretta dell’opera. Prassi poco elegante e financo di assai dubbia deontologia, ma decisamente più praticata di quanto si creda, soprattutto se il giudizio finale è positivo e quindi all’artista poco importa delle modalità stesse di elaborazione della valutazione.
Con Caviezel, accidenti a lui, tutto ciò non è possibile. Infatti si tratta di un artista dalle competenze vagamente enciclopediche, capace di fondere i campi del suo impressionante scibile tanto nella dimensione teorica (è docente e storico di fotografia e storia del cinema) quanto pratica (è fotografo e autore radiotelevisivo). Oltre che, tanto per non farsi mancare niente, musicista, illustratore e pittore. Dove trovi il tempo per fare tutto e a tali livelli tecnici è un problema suo, anzi, ho sospettato a lungo che “Giovanni Caviezel” fosse un accattivante nome collettivo che comprendesse diversi gruppi di persone sparsi per l’Italia, tipo Luther Blisset. E, a esser sincero, nemmeno averlo conosciuto di persona ha fugato definitivamente i miei dubbi. Ma questo, invece, è un problema mio e tutt’al più del mio analista.
Antonio Ferrero

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